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Confusione climatica

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Sono giorni questi in cui si fa fatica a focalizzare l’attenzione. Siamo in piena crisi politica e in piena crisi economica. E purtroppo anche in piena crisi climatica, con un Tirreno caldissimo che in un paio di settimane ha ucciso con nubifragi di impatto inusitato, a Roma, nelle 5 Terre e in Garfagnana, a Genova, all’Elba, in Basilicata, e qualche posto lo scordo di sicuro. I riscaldamenti sono accesi ma le temperature esterne per giorni qui a Bologna non sono scese sotto i 12 gradi e così alla stranezza climatica si somma anche la rabbia di lavorare in uffici che siccome è novembre tengono gli impianti accesi e ti scaldano come in forno. In treno lo stesso. Tutto cambia intorno a noi ma noi non cambiamo, non riusciamo ad adattarci abbastanza in fretta. In effetti l’adattamento è una parola magica del gergo climatologico, se il clima cambia bisogna adattarsi, il che non significa scrollare le spale e assumere un atteggiamento fatalista bensì preparare razionali e articolati piani di protezione delle persone, dei beni e delle attività economiche a fronte di una situazione ambientale sempre più difficile e complessa, aggravata dall’assurdo assetto territoriale che in questo paese ci siamo visti affibbiare da sessant’anni di governi conniventi con la speculazione edilizia e il business del cemento. Chissà se qualcuno metterà questo tema nel programma politico del nuovo governo. Chiediamolo tutti insieme ad alta voce, magari qualcuno ci ascolta.

Irene dalla finestra

con Irene non si scherza

Com’è grande il cielo e com’è piccola una donna, diceva una vecchia canzone di Francesco De Gregori dedicata a una certa sfortunata Irene. Parafrasando il nostro amato cantautore potremmo dire come è piccolo il cielo per la grande Irene, l’uragano poi declassato a tempesta tropicale che ha colpito prima i Caraibi poi quasi tutta la costa atlantica nord americana, allagato solo in parte New York e fatto “solo” 28 morti statunitensi (finora). Ora tocca al Vermont, il piccolo stato del New England, che sta subendo i peggiori allagamenti da 80 anni a questa parte. Naturalmente prima di colpire gli Stati Uniti Irene ha dato dei bei colpi in altri posti come Puerto Rico e Santo Domingo. Le preoccupazioni sono state esagerate? Guardando dalla finestra della tv e del web direi di no, la minaccia era seria ed è stato importante mettere in allarme la popolazione. Molto meglio così che non far nulla, ed è importante che le faccende meteorologiche siano trattate seriamente, perché temo che Irene sia solo un assaggio delle tempeste che verranno.

Radioactivity

dalla roccia madre al terreno alla cantina, le vie del radon sono finite

Ma che è sta radioattività? Per esempio c’è quella naturale. Allora uno dice ah beh se è naturale farà bene… Certo, come il morso di una tigre nel polpaccio. Che è senz’altro naturale ma non fa bene per niente. Prendiamo il caso del radon. Sì, radon. Un gas che del tutto naturalmente diffonde dalle rocce e dai terreni e che è radioattivo. Se putacaso hai una casa con una cantina poco aerata, te la potresti ritrovare piena di radon senza saperne nulla, ogni volta che scendi a prendere una bottiglia di vino ti fai una tac. I soliti studi stranieri dicono che di questo gas si può morire perché fa venire il cancro ai polmoni, anche se uno non ha mai fumato una sigaretta in vita sua. Anzi alcune stime dicono che in Italia ne moribbero ben tremila persone l’anno! A confronto la storia della centrale di Fukushima sarebbe quasi una barzelletta. In sostanza tutti sono preoccupati per una nube a debolissima radioattività e nessuno parla di questa bella bombetta che abbiamo magari in casa. Se anche solo la metà di quel che dicono sul radon fosse vero sarebbero gli stessi morti che ci sono in Italia ogni anno sui cantieri e nelle fabbriche. Sui quali però si strilla, si fanno leggi complicatissime, ispezioni ecc. Sul radon zero, tutto tace. E allora? Allora con 250 euri si compra il misuratore e si controlla la situazione, mi sa che lo faccio.

Arriva la nube

gli strani giri del fumo di Fukushima

E tutti si preoccupano, giustamente. Per vedere cosa hanno calcolato i modelli in merito alla traiettoria dei fumi radioattivi provenienti dall’altra parte del mondo bisogna andare sul sito dell’agenzia per la sicurezza nucleare francese (appare uno schermo nero, premere il tastino play in basso a sinistra). Sono immagini piuttosto inquietanti che mostrano come in pochi giorni il materiale che brucia a Fukushima sia arrivato in Europa. Per essere rassicurati consultare invece la pagina informativa dell’Ispra, l’istituto nazionale per l’ambiente di Roma. Arpa Emilia-Romagna nella sua home page ospita invece dei bollettini numerici quotidiani dove il ben noto simbolo della radioattività invece che nel solito allarmante giallo è immerso in un più rassicurante fondo verdino. Nel caso siate confusi dalla babele di unità di misura è bene sapere che la radioattività si misura in bequerel per metro cubo (Bq/m3) mentre la dose assorbita in microsievert (μSv, il livello naturale sta tra i 60 e i 240). In sostanza la prima unità si riferisce alla frequenza dei decadimenti isotopici che generano la radiazione mentre la seconda è la quantità di energia assorbita da un kg di materia.

Africa del sud, Europa del Nord

troppa acqua, poco pane

Danni gravissimi e oltre cento morti in Sud Africa, con sette province su nove interessate da inondazioni. Tutta la zona meridionale del continente più povero del mondo è sotto tiro, Mozambico, Madagascar, Botswana, Namibia, Zimbabwe e Zambia i paesi più a rischio. E’ la Niña che continua a imperversare nel pieno dell’estate australe dopo aver colpito duramente in Australia, Filippine, Tailandia, Sri Lanka e Brasile. Ne parla il Guardian, che presenta anche un’impressionante galleria fotografica di eventi calamitosi avvenuti di recente, inclusi quelli in nord Europa, a seguito del brusco rialzo termico con scioglimento delle nevi e forti piogge.

La bambina cattiva

...abbiamo perso l'autobus...

Non c’è solo Brisbane tra le vittime della Niña, la bambina cattiva che sta seminando piogge torrenziali e allagamenti tra Oceano Pacifico e Indiano. I nostri cari media oggi parlano solo di Australia, ma anche a Ceylon (foto) non si scherza. La Bbc riferisce di almeno 21 morti e di estesi allagamenti che hanno obbligato 350mila persone a lasciare le proprie case e cercare rifugio in zone più asciutte. Magari lo sapete già, comunque è bene ricordare che in sud America Gesù bambino si chiama El Niño, e questo nome è stato adottato per indicare uno strano fenomeno meteorologico che ogni tanto genera, appunto verso Natale, piogge torrenziali e diffusi allagamenti sulle coste del Perù, dove di solito c’è il deserto. I meteorologi hanno scoperto diversi anni fa che esiste anche un fenomeno inverso, che colpisce le coste occidentali dell’Oceano e che scherzosamente è stato chiamato La Niña, come dire la sorellina dispettosa del Bambinello. Quest’anno la bambina è particolarmente virulenta e ha deciso di interrompere con estese alluvioni la gravissima siccità che affliggeva da anni l’Australia del nord est, sequenza peraltro verificatasi già cinque anni fa. Quanto a Ceylon, le piogge straordinarie hanno messo in ginocchio la costa orientale, che ancora deve riprendersi dagli effetti dello tsunami di fine 2004, e dalla guerra civile che l’ha devastata per decenni. Come dire, piove sul bagnato…

Temperatura di bulbo bagnato

...meglio fresco...

Per procurarsi un cocomero o un melone fresco senza disporre di un frigo basta coprirlo con un panno bagnato e lasciarlo riposare all’ombra per un po’: nel giro di un’oretta il frutto si porta qualche grado sotto la temperatura ambiente, abbastanza da farne apprezzare la freschezza, specie se fa molto caldo. Attenzione però a non lasciare asciugare il panno, che altrimenti il cocomero torna caldo come prima. Come funziona questo trucchetto da boy scout? Tutto dipende dall’evaporazione dell’acqua dal panno, ogni grammo evaporato sottrae calore al frutto, che si raffredda fino a raggiungere una temperatura un po’ più bassa di quella ambiente, che i meteorologi chiamano temperatura di bulbo bagnato (Tbb). Il trucco funziona tanto meglio quanto più è secca l’aria. Se l’aria è satura (umidità al 100%) invece non funziona per niente, perchè il panno non evapora. Cosa ci azzecca tutta questa storiella con il clima? Ci azzecca e come, direbbe Di Pietro, perché anche la nostra capacità di sopportare il caldo dipende dalla possibilità di traspirare, e in ultima analisi dal valore della Tbb. I biometeorologi hanno appurato che un essere umano sano e adulto, se lasciato per qualche ora in condizioni di Tbb pari o maggiori di 35 gradi ci lascia la penne. Se il personaggio in questione poi è un bambino, un malato o un anziano il decesso sopravviene anche a Tbb più bassa. Ora il nostro pianeta praticamente non supera mai la Tbb di 31 gradi, nei pochi casi in cui questo valore viene oltrepassato le persone muoiono in massa, ne abbiamo parlato con riferimento ai recenti casi russo e indiano, ma successe anche in Europa occidentale nell’estate del 2003. Perchè non si supera quasi mai questa soglia? Perchè quando fa molto caldo e umido si innescano dei temporali di dimensioni più o meno grandi a seconda delle zone dove si scatenano. Questi temporali agiscono un po’ da termostato e provvedono a rinfrescare l’aria, trascinando al suolo aria fredda dagli strati più alti dell’atmosfera. Studi recenti hanno però evidenziato che, se il riscaldamento del pianeta dovesse proseguire al ritmo attuale, anche l’umidità salirebbe, l’innesco dei temporali diventerebbe di conseguenza più difficile e la Tbb potrebbe portarsi oltre i fatidici 35 gradi sempre più di frequente, con le conseguenze che potete immaginare. Una di quelle più temute dagli analisti è che zone sempre più ampie della Terra diventino inabitabili, con i flussi migratori che ne deriverebbero. Una mamma che vede il suo bimbo avvicinare la mano al fuoco lo ferma prima che sia troppo tardi, l’umanità è come quel bimbo, scherza col fuoco, quella che non si vede in giro però è la mamma…

L’alluvione scomparsa

...e invece l'acqua è ancora lì

Ho controllato, sono passati solo due giorni e l’alluvione di Vicenza e del Veneto è già uscita dalla prima pagina del sito del Corriere e scivolata molto in basso in quello della Repubblica. Siccome non è stata una strage ma ci sono “solo” seimila persone fuori di casa (bassa padovana) e danni enormi la faccenda non fa più notizia. Per trovare qualcosa bisogna andare nelle pagine locali, con qualche strascico di polemica per il mancato allarme (che pare imputabile non tanto a meteorologi e protezione civile, che avevano fatto il loro mestiere, quanto alla cattiva gestione della catena informativa a livello comunale) e l’invio di scope e stivali verso Vicenza, dove sono finiti. Il Bacchiglione è andato fuori dagli argini e invece di trovare solo i campi ha invaso capannoni, villette, strade, insomma quello spaventoso groviglio di terra e cemento che è diventata la pianura veneta, un tempo meraviglioso paesaggio agrario, oggi desolante dimostrazione di quel che possono fare due decenni di cattiva gestione del territorio da parte di regione provincie e comuni, con la complicità delle varie leggi Tremonti, che detassano i capannoni, e della concessione berlusconiana ai comuni di far cassa rilasciando licenze edilizie. Chiunque abbia volato di recente sul Veneto non avrà mancato di accorgersi che la pianura di questa regione si è trasformata in un’immensa area urbana, con un’accelerazione del cementificato che non ha pari nel resto d’Italia e che è largamente imputabile ai governi locali dei vari leghisti e forzisti (ma anche il centrosinistra col cemento non ha affatto scherzato), che ora invocano aiuto dallo stato per rimettere a posto quel che tornerà sott’acqua alla prossima megapioggia generata dall’impazzimento del clima.

Un mondo in bilico

...occhio alla piovra...

I media hanno descritto l’ondata di calore russa del 2010 e le alluvioni del Pakistan come disastri naturali, ma lo sono stati davvero? I climatologi dicono da tempo che le temperature in aumento porteranno eventi sempre più estremi. Gli ecologi ci hanno avvisato che la pressione umana sugli ecosistemi continua a salire e che mentre foreste e praterie vengono distrutte le alluvioni peggiorano.
I segnali che la nostra civiltà è nei guai si moltiplicano. Durante la maggior parte dei 6000 anni dall’inizio della civilizzazione umana abbiamo vissuto dei frutti sostenibili dei sistemi naturali terrestri. Ma negli ultimi decenni l’umanità ha sorpassato i livelli sopportabili da quei sistemi. Stiamo liquidando le risorse naturali della Terra per alimentare i nostri consumi. Metà di noi vive in paesi dove le falde si abbassano e i pozzi si disseccano. L’erosione dei suoli supera la velocità di formazione in almeno un terzo delle zone coltivate, deprivando la terra della sua fertilità. Le sempre crescenti mandrie di bestiame (bovini pecore e capre) stanno convertendo vaste estensioni di praterie in deserti. Le foreste calano di 6 milioni di ettari all’anno mentre sgomberiamo terreni per l’agricoltura e tagliamo gli alberi per il legname e la carta. I quattro quinti del patrimonio ittico oceanico vengono sfruttati fino al limite o addirittura oltre, puntando così al suo collasso. In sempre più sistemi naturali la domanda sorpassa l’offerta.
Nel frattempo la combustione massiccia di sostanze fossili sta sovraccaricando l’atmosfera di anidride carbonica spingendo la temperatura del pianeta sempre più su. Questo a sua volta genera sempre più frequenti eventi climatici sempre più estremi, incluse le ondate di calore che disseccano le colture, siccità più intense, alluvioni più gravi e tempeste più distruttive. La temperatura crescente sta sciogliendo i ghiacci polari e i ghiacciai montani. Se si sciogliesse interamente il ghiaccio della Groenlandia, una zona che si scioglie a tassi crescenti, il livello dell’acqua salirebbe di sei metri e inonderebbe i delta fluviali asiatici dove si produce il riso e molte delle città costiere del mondo. Senza i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet i grandi fiumi dell’India e della Cina andrebbero in secca nella stagione arida e così i sistemi irrigui che da questi fiumi dipendono. Questo è vero anche per il Po, quando i ghiacciai alpini non ci saranno più, d’estate il fiume sarà in secca o invaso dall’acqua di mare… e a questa velocità di scioglimento ci arriviamo nel 2050 o 2100 al massimo. Fronteggiamo problemi di complessità ed urgenza mai viste prima. Possiamo ragionare sistematicamente e decidere le politiche di conseguenza? Possiamo muoverci abbastanza in fretta da evitare il declino e il collasso economico? Possiamo cambiare direzione prima di cadere nel vuoto? Di questo tratta l’ultimo libro di Lester Brown, Il Mondo in bilico (World on the Edge), non ancora disponibile in italiano e di cui si può scaricare il primo capitolo dal sito del Earth Policy Institute.

La strage russa

...caldo da morire...

Sembra incredibile ma io l’ho letto sull’autorevole Le Monde il quale ha ripreso fonti statistiche ufficiali: il caldo anomalo dell’estate scorsa ha fatto fuori 55mila persone in Russia, di cui quasi undicimila nella capitale Mosca. Come dire tutti gli abitanti di Siena spazzati via in due mesi. Questo dato risulta dalla differenza tra i decessi di luglio-agosto 2009 e quelli dello stesso periodo di quest’anno. Torna alla memoria l’estate del 2003, quando i morti di caldo furono 50mila in Europa occidentale, di cui oltre 20mila solo in Italia. Questo disastro umano si somma ai danni diretti e indiretti provocati dal caldo e dalla siccità: incendi boschivi, distruzione di case e villaggi, perdita di raccolti, costi economici ingentissimi. E si somma al grave spopolamento di cui soffre in generale il grande paese, che dal 1989, quando si è liberato dal regime sovietico, ha perduto cinque milioni di abitanti.