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Progresso o regresso?

si chiama Xingu, ma non è cinese

Il Brasile è una delle cosiddette potenze emergenti, ma sta pagando il suo sviluppo economico a due cifre al prezzo di grandi distruzioni. Un esempio è la diga di Belo Monte, in costruzione sul fiume Xingu, uno dei più importanti nel bacino del Rio delle Amazzoni. Il sito del Guardian pubblica un’impressionante galleria di immagini riprese dall’aereo che dimostrano le devastazioni in corso. Nel caso vi sorga l’obiezione che in fondo si tratta di idroelettrico, quindi un modo rinnovabile e pulito di produrre energia, migliore delle energie fossili, ricordate che numerosi studi indicano come in ambienti tropicali i bacini artificiali costituiti sbarrando il corso dei fiumi siano fonte di grosse emissioni di metano, un gas serra 25 volte più potente della CO2. La principale fonte di metano è la vegetazione sommersa e in putrefazione all’interno del bacino artificiale. Le quantità emesse sono piuttosto impressionanti, pari a circa un quarto di tutto il metano emesso in atmosfera ad opera dell’uomo (le altre fonti sono risaie, bovini e altri ruminanti allevati, fughe di gas dalle miniere e dai gasdotti). Non è proprio una buona pubblicità per i brasiliani, ora che siamo prossimi alla conferenza mondiale Rio+20.

 

Il clima che cambia spiegato ai ragazzi (4)

Brucia, petrolio, brucia

Nonostante l’enorme quantità di plastica che viene prodotta, la stragrande maggioranza del petrolio estratto dal sottosuolo è trasformata in carburanti (benzina, gasolio, cherosene ecc.) e bruciata in motori o caldaie. Pensate che ogni giorno nel mondo si consumano 85 milioni di barili di petrolio, ogni barile sono 150 litri circa e quindi facendo due conti si scopre che ogni abitante del pianeta Terra brucia in media quasi due litri al giorno di petrolio!

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REDD, un acronimo per salvare le foreste

REDD like a forest

Significa Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado forestale ed è diventato uno dei punti chiave per la riuscita della conferenza di Copenaghen. Se ne parla su Nature, la più importante rivista scientifica del mondo, che gli dedica un editoriale. In italiano su questo argomento c’è anche un bel po’ di materiale sul sito Salvaleforeste. In poche parole comunque si tratta della strategia elaborata per ridurre e possibilmente azzerare la distruzione delle foreste tropicali, che procede talmente in fretta da provocare un quarto delle emissioni di anidride carbonica e un quinto di quelle totali di gas serra. Alle foreste salvate  o recuperate verrebbe assegnato un valore monetario che potrebbe essere ottenuto sul mercato globale delle emissioni. In sostanza soldi dai paesi danarosi ed emettitori, verso i paesi ricchi di foreste, per compensarli della mancata deforestazione. Semplice in teoria ma molto complesso nell’attuazione pratica. Un solo problema su tutti: chi controlla che la deforestazione stia davvero rallentando? La soluzione potrebbe essere tecnologica, con l’uso dei satelliti artificiali per controlli dallo spazio.

750 chilometri quadrati al mese

Foresta e colture in Brasile. Foto Rodrigo Baleia/Greenpeace
Foresta e colture in Brasile. Foto Rodrigo Baleia/Greenpeace

E’ questo il tasso di deforestazione dell’Amazzonia brasiliana in agosto, doppio rispetto a quello di luglio, triplo rispetto a quello dell’agosto 2007, e talmente alto che forse indurrà il governo brasiliano, in particolare il ministro per l’ambiente, a trascinare davanti a un tribunale pezzi della sua stessa amministrazione, in particolare l’Incra (Agenzia della riforma agraria), che è accusata di aver contribuito alla deforestazione di 220mila ettari di foresta negli ultimi tre anni, oltre a grossi proprietari terrieri e allevatori di bestiame. I dati sulla deforestazione amazzonica sono aggiornati continuamente grazie al telerilevamento, attività che in Brasile compete allo specifico istituto di ricerca spaziale. La deforestazione è particolarmente dannosa per il clima perché ad essa segue il rilascio in atmosfera di immense quantità di carbonio contenuto nelle piante che vengono bruciate ma soprattutto nei terreni che vengono dissodati per essere avviati a coltura (soia, palma da olio, canna da zucchero) o destinati a pascolo. Stime recenti parlano di ben 1,5 miliardi di tonnellate di CO2 emesse ogni anno a causa della deforestazione tropicale, una quota che rappresenta il 5% emissioni complessive. Per fermare questo disastro sono in corso negoziati internazionali per dare un valore alla protezione delle foreste tropicali e far confluire in questo modo su paesi come Brasile e Indonesia i fondi necessari per attuare le necessarie e costose politiche di protezione del patrimonio forestale tropicale. Anche campagne mirate come quella recente di Greenpeace contro Unilever si sono rivelate efficaci.