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Sfamare cani e gatti, i cristiani invece no

sto meglio io di tanti africanetti...

Qualche volta si risvegliano in me sacri furori, in particolare quando assisto sbalordito alle sempre più patinate pubblicità di cibo per animali alla televisione. Non bastano le bottigliette di plastica per bere un sorso d’acqua, i fogli di carta assorbente vergine per asciugare un po’ di bagnato, i quintali di plastica con cui avvolgere ogni singola mela, adesso il nostro caro padronato vuole convincerci che nulla ci renderebbe più felici che un bel carico di confezioni monodose di diete feline e canine, pubblicizzate con lo stesso zelo del cibo per bambini. Ma voi non ci vedete un segnale di decadenza micidiale, una sorta di basso impero al tramonto, un’aria da Maria Antonietta che propone le brioche al popolo che chiede pane? Ma cosa pensano di noi quelli che dall’Africa vedono le nostre trasmissioni sui canali satellitari? Sti italiani, se si occupano con tanto amore dei loro cani e gatti ci daranno ben una mano anche a noi che cerchiamo pane e lavoro? Eh no cari, voi mica siete di razza siamese a pelo lungo, non fate mica ron ron sul divano, a voi mazzate, al gattino bello tanti bei bocconcini. Ma vaffa…!

Ben detto Benedetto

...stavolta l'ha detta giusta...

Ieri Benedetto XVI ha ricordato, parlandone lungamente durante la consueta omelia della domenica dalla finestra di San Pietro, l’avvio della conferenza climatica di Durban che da oggi e per due settimane terrà impegnati migliaia di delegati di tutti i paesi e di numerosissime organizzazioni non governative, nel tentativo di dare un seguito al protocollo di Kyoto che scade l’anno prossimo. Nessun leader politico italiano ha speso negli ultimi giorni o settimane una sola sillaba sull’argomento: tutti parlano solo di crisi politica, economica e finanziaria e non vedono la macroscopica crisi planetaria nella quale ci stanno avvitando consumi energetici senza senso e conseguenti emissioni di gas serra. Il papa ha giustamente ricollegato la questione climatica a quella della povertà (sono proprio i paesi più poveri delle zone tropicali a sopportare il maggior peso degli sconvolgimenti del clima) e del destino delle future generazioni, che dovranno quasi certamente adattarsi a condizioni climatiche ben diverse da quelle cui eravamo abituati nel Novecento. Cito: “Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future”. Come non essere d’accordo?

Siccità e carestia nel Corno d’Africa

ci mancava solo la siccità...

Oltre dieci milioni di persone sparse tra Somalia Kenia Etiopia e Gibuti sono in pessime condizioni alimentari a causa di una siccità che alcuni articoli definiscono come la più grave da sessant’anni a questa parte. L’Onu ha dichiarato oggi lo stato di carestia e aperto l’invio di aiuti da parte dal Pam (il programma alimentare mondiale). La situazione è particolarmente aggravata dalle condizioni di guerra perenne in cui si trovano alcune zone coplite dalla siccità, in particolare in Somalia meridionale, che sono sotto il controllo di bande armate islamiste e non. In alcune zone la gente è costretta a mangiare fogliame e scavare nei formicai alla ricerca di semi di cui cibarsi. La Croce rossa internazionale ha dichiarato che un bambino su dieci potrebbe morire di fame nel sud Somalia se non si interviene al più presto. In Italia la Caritas ha dato vita a una sottoscrizione.

Il clima che cambia spiegato ai ragazzi (4)

Brucia, petrolio, brucia

Nonostante l’enorme quantità di plastica che viene prodotta, la stragrande maggioranza del petrolio estratto dal sottosuolo è trasformata in carburanti (benzina, gasolio, cherosene ecc.) e bruciata in motori o caldaie. Pensate che ogni giorno nel mondo si consumano 85 milioni di barili di petrolio, ogni barile sono 150 litri circa e quindi facendo due conti si scopre che ogni abitante del pianeta Terra brucia in media quasi due litri al giorno di petrolio!

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Africa del sud, Europa del Nord

troppa acqua, poco pane

Danni gravissimi e oltre cento morti in Sud Africa, con sette province su nove interessate da inondazioni. Tutta la zona meridionale del continente più povero del mondo è sotto tiro, Mozambico, Madagascar, Botswana, Namibia, Zimbabwe e Zambia i paesi più a rischio. E’ la Niña che continua a imperversare nel pieno dell’estate australe dopo aver colpito duramente in Australia, Filippine, Tailandia, Sri Lanka e Brasile. Ne parla il Guardian, che presenta anche un’impressionante galleria fotografica di eventi calamitosi avvenuti di recente, inclusi quelli in nord Europa, a seguito del brusco rialzo termico con scioglimento delle nevi e forti piogge.

Il sole che raffredda

Il misterioso ciclo del raffreddamento solare

Avete molto sole e molto caldo? Allora è il momento di usare tutto quel sole per rinfrescare, anzi addirittura per refrigerare. La tecnologia del raffreddamento solare fa passi da gigante grazie agli sforzi di Mario Motta, del Politecnico di Milano e degli altri partecipanti al progetto Medisco finanziato dall’Unione europea. Ne riferisce il sito di Qualenergia, la bella rivista specializzata diretta da Gianni Silvestrini e edita da Legambiente. Il calore del sole opportunamento concentrato su dei tubi in cui scorre una mistura di acqua e antigelo ne innalza la temperature fino a 200 gradi. Il liquido così riscaldato diventa la fonte di energia per i grossi frigoriferi che servono un caseificio in Marocco e un impianto vinicolo in Tunisia.

Il caldo e la pioggia

Madeira, sabato scorso...

Due notizie passate tra le brevi nei tg, tra scandali, Sanremi e altre italiche disgrazie. Due eventi luttuosi apparentemente sconnessi tra loro, il crollo del minareto venerdì scorso a Meknes in Marocco, che ha fatto quaranta morti, e l’alluvione a Madeira, l’isola portoghese, che sabato nella capitale Funchal di morti ne ha fatti altrettanti e forse più. Se aprite un atlante (o più modernamente consultate Google maps) scoprirete che Madeira si trova in pieno Atlantico, di fronte alla costa marocchina e sulla stessa rotta delle perturbazioni che da settimane passano prima su Madeira, poi sul Marocco. In quest’ultimo paese sono mesi che il maltempo fa danni, come si può leggere in francese sul blog Maghreb Info, e proprio al maltempo pare dovuto il crollo del minareto, reso instabile dalle piogge che da mesi si abbattono sulla città. Ma perché piove così tanto in posti che normalmente anche in inverno non superano gli 80-100 millimetri al mese? Qualche idea possiamo averla da queste notizie, che ho tradotto dal servizio meteo portoghese: “Il 20 febbraio 2010, l’isola di Madeira è stata investita da una forte attività frontale associata a una depressione centrata sulle Azzorre alle ore 00UTC in movimento verso nordest. La  massa d’aria calda associata con questo sistema frontale era caratterizzata da alta instabilità e trasportava una grande quantità di vapor d’acqua. I valori più alti di pioggia registrati in un’ora nelle stazioni di Funchal-Osservatorio e Pico do Arieiro erano, rispettivamente, 52 mm (tra le 9 e le 10 h) e 58 mm (tra le 10 e le 11 h). Tra le 6 e le 11 am queste stazioni hanno registrato 108 e 165 mm.” In sostanza dall’Atlantico, in pieno inverno, è arrivata aria molto calda e umida, due condizioni che favoriscono l’instabilità, ovvero piogge torrenziali, e in poche ore sono cadute l’equivalente di un paio di mesi di piogge normali… Troppa CO2, troppo caldo, troppa evaporazione, troppe piogge, troppi morti. Ed è solo l’inizio del secolo.

On February 20, the Madeira Island was affected by a strong frontal activity associated with a depression that was centred in the Azores at 00UTC and moving to the northeast. The hot air mass associated with this frontal system was characterized by high instability and carried a large content of water vapour.

The highest values of rainfall recorded in an hour at stations Funchal-Observatório and Pico do Arieiro were, respectively, 52 mm (between 9 and 10 h) and 58 mm (between 10 and 11 h). Between 6 and 11 am there were 108 mm and 165 mm in these stations, respectively.

I golpe dell’uranio

Africa radioattiva

Il Niger non è proprio un paese di quelli conosciutissimi. Per chi si interessa di agricoltura, siccità ecc. è bene sapere che nella capitale Niamey ha sede l’importante centro di formazione e di servizio Agrhymet, ma non è questo l’argomento di cui volevo scrivere. E’ notizia di ieri che in quel remoto angolo d’Africa c’è stato un colpo di stato, roba normale direte voi, invece no, questo è un golpe diverso dal solito, un golpe “radioattivo”. Il Niger, semidesertico e poverissimo com’è, nasconde nel suo sottosuolo una grossa quantità di uranio che interessa molto la Francia, la maggior potenza nucleare d’Europa, con le sue 59 centrali atomiche e non so quante testate nucleari. In particolare dell’uranio nigerese si occupa attivamente l’azienda Areva, colosso industriale d’oltralpe cui Berlusconi, per interposta Enel, vuole affidare la costruzione delle quattro nuove centrali italiane. Le attività estrattive di Areva in Niger sono molto rilevanti e da anni sono fonte di preoccupazione sia dal punto di vista sanitario che politico, tanto che nel 2008 il gruppo ambientalista svizzero Public Eye attribuì ad Areva l’ironico titolo di “peggiore azienda del mondo” con l’accusa esplicita di mascherare per Aids decessi in effetti dovuti alla radioattività cui sono esposti i lavoratori e le popolazioni locali. La deposizione del presidente non è comunque una novità in Niger, anzi Diori Hamani (il primo presidente del paese) venne rovesciato da un colpo di stato nel 1975 per aver voluto rimettere in discussione il controllo della Francia sull’uranio locale. Ecco, quando si parla di nucleare sicuro, ricordatevi del Niger.

Il mito della sovrappopolazione

Siamo in troppi?

Molto spesso si leggono o si sentono commenti sconfortanti di persone anche colte che accusano la sovrappopolazione di tutti i mali ambientali del pianeta, ivi incluso ovviamente il surriscaldamento climatico cui stiamo assistendo. Sappiamo dalle statistiche demografiche che la popolazione mondiale aumenta ogni anno di 50-60 milioni di persone, e che nel giro di qualche anno arriveremo a sette miliardi. Ciononostante appare sempre più chiaro che i moltissimi nuovi poveri fanno assai meno danni dei pochi ricchissimi, ad esempio un recente articolo scientifico dimostra che l’Africa nera o sub sahariana, che negli ultimi venticinque anni ha generato più di un sesto dell’aumento della popolazione mondiale,  ha provocato un aumento delle emissioni serra globali di appena il 2,4%. Al contrario il 4% in più di nordamericani nati nello stesso periodo ha indotto un aumento del 14% delle emissioni, un palese caso di ingiustizia e disparità climatica. In effetti le emissioni di gas serra africane pro capite sono dell’ordine di 0,1 -0,5 tonnellate l’anno, da confrontarsi per esempio con quelle italiane, che si aggirano intorno alle 8 (anche se in Emilia-Romagna siamo oltre le 12, a causa sia del generale benessere che di un’elevata concentrazione di impianti termoelettrici). Mentre l’umanità nel suo insieme deve tagliare le emissioni serra (in realtà soprattutto i paesi ricchi), gli africani hanno bisogno di aumentarle, per uscire dalle condizioni miserabili in cui versa la stragrande maggioranza di essi. Questo è in sintesi il concetto di contrazione e convergenza ideato dal musicista inglese Aubrey Meyer e di cui si dà qualche dettaglio nel mio testo GoingGreen. Un concetto che andrebbe applicato anche all’interno dei singoli paesi, visto che in Europa c’è chi spregevolmente compra panfili che bruciano fino a 3000 litri di carburante l’ora mentre ci sono milioni di poveri che fanno la fila per un pasto alle mense caritatevoli. Il sistema per arrivarci c’è e si chiama tassa sul carbonio, ne parleremo prossimamente.

Gli effetti diretti della CO2

Foglie velenose?
Foglie velenose?

Sapevamo già che i popoli più poveri sono soggetti ai più forti impatti del cambiamento climatico attuale e prossimo venturo. Ora però salta fuori che la crescita della CO2 può avere impatti negativi diretti senza intermediazioni: di recente New Scientist ha dato rilievo a uno studio sulla cassava o manioca, una coltura molto importante per le popolazioni povere dell’Africa, che ne fanno largo uso alimentare, soprattutto trasformando in farina le radici. Anche le foglie di questa pianta hanno un utilizzo alimentare, ma contengono tracce di acido cianidrico, sostanza tutt’altro che benefica per il corpo umano e che tende ad aumentare la propria concentrazione nelle foglie in presenza di concentrazioni maggiori di CO2 in aria. Già oggi a causa dell’imperfetta manipolazione della cassava molti bambini soffrono di konzo, una forma irreversibile di paralisi delle gambe dovuta all’acido cianidrico. Se le concentrazioni di co2 dovessero raggiungere le 500 ppm entro il 2050 questo significherebbe anche il raddoppio della pericolosità della cassava come alimento, dice lo studio citato da New Scientist. Un motivo in più per spingere i governi del mondo all’accordo di Copenaghen, come sta continuando a fare Ban Ki-moon il segretario dell’Onu, che di recente ha lanciato un altro appello in questo senso.