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Europa e India in contrasto sul clima

...date retta alla gente, non agli inquinatori...

Sopraffatti dalle lacrime governative i giornalisti nostrani non trovano il tempo di occuparsi del futuro del trattato climatico globale, di cui migliaia di delegati discutono a Durban in Sudafrica alla conferenza COP17. Il Guardian ci informa invece che domenica a sorpresa è apparsa una “Durban roadmap” cioè un piano per sbloccare la trattativa. Si tratta di una proposta avanzata dall’Unione europea, accolta con interesse da molti stati ma contrastata fieramente dall’India, che prevede la proroga di Kyoto, e al contempo il varo di un trattato parallelo per il coinvolgimento graduale degli stati in via di sviluppo (come l’India appunto), che dai tempi del protocollo (1997) hanno fatto passi da gigante nell’economia (e nelle emissioni). Il contrasto dell’India trova fondamento sul mancato impegno di grossi emettitori come gli Usa, che al protocollo di Kyoto finora non si sono piegati. Teniamo gli occhi aperti sulla seconda settimana di trattativa, chissà che non ne esca qualcosa di buono.

Sospendiamo il protocollo di Kyoto?

forse John ha ragione...

Sembra un’idea assurda, chi la propone però non è certo un negazionista, anzi. Si tratta del laburista inglese John Prescott, uno dei protagonisti del negoziato internazionale che portò alla definizione del protocollo di Kyoto nell’ormai remoto 1997. Il protocollo è il primo trattato internazionale che ha imposto agli aderenti di controllare e ridurre le emissioni di gas serra. Per l’Italia il protocollo prevedeva un taglio del 6,5% delle emissioni rispetto al livello del 1990, sembra poco ma in realtà per tagliare le emissioni prima di tutto i paesi aderenti hanno dovuto invertire un trend in salita, il che per l’Italia ha significato un taglio di oltre il 15% rispetto al picco di emissioni raggiunto nel 2004. Ora questo trattato sta per scadere e questo è un dramma perché le nazioni non si riescono ad accordare su cosa deve sostituirlo. Allora, dice Prescott, mettiamolo in animazione sospesa in modo che rimanga in vigore con tutti i suoi meccanismi (che tra l’altro prevedono trasferimenti di risorse verso i paesi più poveri) finché non verrà raggiunto il nuovo compromesso. Maggiori dettagli sulla proposta sono disponibili sull’informatissimo Guardian.

Ben detto Benedetto

...stavolta l'ha detta giusta...

Ieri Benedetto XVI ha ricordato, parlandone lungamente durante la consueta omelia della domenica dalla finestra di San Pietro, l’avvio della conferenza climatica di Durban che da oggi e per due settimane terrà impegnati migliaia di delegati di tutti i paesi e di numerosissime organizzazioni non governative, nel tentativo di dare un seguito al protocollo di Kyoto che scade l’anno prossimo. Nessun leader politico italiano ha speso negli ultimi giorni o settimane una sola sillaba sull’argomento: tutti parlano solo di crisi politica, economica e finanziaria e non vedono la macroscopica crisi planetaria nella quale ci stanno avvitando consumi energetici senza senso e conseguenti emissioni di gas serra. Il papa ha giustamente ricollegato la questione climatica a quella della povertà (sono proprio i paesi più poveri delle zone tropicali a sopportare il maggior peso degli sconvolgimenti del clima) e del destino delle future generazioni, che dovranno quasi certamente adattarsi a condizioni climatiche ben diverse da quelle cui eravamo abituati nel Novecento. Cito: “Auspico che tutti i membri della comunità internazionale concordino una risposta responsabile, credibile e solidale a questo preoccupante e complesso fenomeno, tenendo conto delle esigenze delle popolazioni più povere e delle generazioni future”. Come non essere d’accordo?

Le signore del clima

felicitazioni!

Si chiamano Patricia Espinosa e Christiana Figueres, la prima messicana e la seconda costaricana, e sono loro ad avere il merito di questo inatteso successo diplomatico: la rinascita della trattativa globale sul clima a Cancùn, dopo la tremenda batosta di Copenaghen l’anno scorso. Della Figueres abbiamo già parlato, ha preso il posto all’Unfccc di Yvo de Boer, sconfitto nel 2009 dalle recalcitranze dei grandi paesi emettitori di gas serra. Ma è Patricia Espinosa, la rappresentante governativa del Messico e presidente della conferenza Cop16, ad aver dominato i febbrili negoziati finali e ad aver indotto anche i paesi emergenti (forse è il caso di chiamarli ormai emersi del tutto) ad accettare l’idea di limiti alle emissioni e di controlli da parte di terzi, anche se in un futuro ancora non ben definito. Con questo tipo di concessione, per ora ancora astratta ma solenne, da parte di India e Cina, anche il rappresentante Usa ha potuto portare a casa un successo e ha aderito al documento finale. Che prevede molte cose importanti, un meccanismo di compensazione per i paesi che evitano di tagliare le proprie foreste tropicali, un fondo internazionale per gestire l’adattamento ai cambiamenti inevitabili, e soprattutto una bozza di accordo che dovrà sostituire l’anno prossimo a Durban (Sud Africa) il protocollo di Kyoto in scadenza, con nuovi tagli alle emissioni per il 2020. Come avevamo immaginato, l’assenza di attenzione da parte dell’opinione pubblica mondiale, presa da altro in queste settimane ha consentito un successo inatteso. Quando si hanno troppe aspettative ogni compromesso è un delusione, quando non se hanno affatto ogni piccolo risultato è un bel regalo. Grazie dunque a Christiana e Patricia.

 

Messico e nuvole

 

...lo capiscono anche i bambini...

 

Ci risiamo, un’altra conferenza mondiale sul clima è alle porte e tutti già sanno che sarà un fallimento. Stavolta la grande carovana di delegati da 190 paesi si riunirà sulla costa messicana, nel centro balneare di Cancùn, un tempo magnifico promontorio sul Golfo del Messico ridotto ora a brutta fungaia di alberghi verticali per turisti americani, dove io non metterei mai piede. Ci metteranno piede invece migliaia di persone a dicembre per partecipare alla conferenza COP16, alcuni nella speranza di un accordo globale per il taglio delle emissioni di co2, molti altri nella speranza opposta di bloccare l’accordo e tornare a casa ad inquinare come se niente fosse. Intanto il pianeta si riscalda e il 2010 si avvia ad essere un anno record, come avevano previsto i meteorologi inglesi l’anno scorso alla COP15 di Copenaghen. I motivi del fallimento prossimo venturo sono molteplici e complessi, mettiamoci prima di tutto la delicata situazione in cui si trova Obama a causa delle prossime elezioni di metà mandato (e non di “medio termine” come si sente dire da certi giornalisti) che sconsiglia di assumere prese di posizione radicali sulla questione delle emissioni statunitensi, mettiamoci anche la voglia dei paesi emergenti, i cosiddetti Basics (Brasile Sudafrica India e Cina), di continuare a crescere senza lasciarsi condizionare da trattati vincolanti, e da ultimo mettiamoci anche un’opinione pubblica mondiale distratta da altre questioni tutt’altro che banali come il nucleare in Corea del Nord e Iran, la perdurante crisi del Medio Oriente, le guerre interminabili in Iraq e Afganistan, col loro sanguinoso strascico di morti. Comunque non tutti sono distratti, come dimostrano gli oltre 7000 eventi del Global work party, organizzato da 350.org, l’organismo non governativo che chiede al mondo di abbassare il livello della co2 dagli attuali 390 ppm ai 350 di trent’anni fa, un livello considerato più sicuro per contrastare l’aumento globale delle temperature.

Emissioni italiane sotto il livello del 1990

...cominciamo a rallentare...

Secondo le anticipazioni fornite ieri a Roma alla conferenza dell’Ispra sull’inventario nazionale delle emissioni in atmosfera, nel 2009 l’Italia avrebbe emesso “solo” 496 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, scendendo, per la prima volta da vent’anni, sotto il livello di riferimento adottato dal protocollo di Kyoto. Il dato non è ufficiale (lo sarà purtroppo solo tra un anno, com’è prassi per questi dati, che seguono una lunga trafila prima di essere approvati a livello internazionale) ma in pratica se la discesa preannunciata continuasse così anche quest’anno potremmo per la prima volta toccare il nostro obiettivo di Kyoto già dal 2010 . Ricordo che il protocollo, che abbiamo sottoscritto nel 1998 e poi ratificato nel 2002, ci impone di tagliare le nostre emissioni di gas serra, portandole nel quinquennio 2008-2012 al di sotto di 483 milioni di tonnellate l’anno (-6,5% sotto il livello del 1990) . Si tratta di una intensificazione della tendenza alla diminuzione delle emissioni italiane che si era resa visibile già dal 2006, dopo il picco raggiunto nel 2005 (572 Mton) ed era proseguita anche negli anni successivi. Buona parte di questa caduta del 2009 sarebbe purtroppo da ricollegarsi alla grave crisi economica che colpisce il nostro paese (non tutto il male…), anche se in qualche misura sono anche leggibili i primi effetti di politiche di sostegno alle rinnovabili e all’efficienza energetica adottate negli anni scorsi da diversi governi.

La conferenza climatica di Bolivia

Altro che Obama...

Il londinese Guardian ci informa con un articolo dell’ambasciatore di Bolivia alle Nazioni Unite, Pablo Solón-Romero, che per rimediare ai guasti prodotti a Copenaghen, il prossimo mese il suo paese terrà una nuova conferenza mondiale sul clima, in cui però stavolta dovrebbero essere i popoli a parlare e i governi ad ascoltare. Alla Conferencia Mundial de los Pueblos sobre el Cambio Climático y los Derechos de la Madre Tierra che si svolgerà in quel di Cochabamba dal 19 al 22 aprile 2010 la partecipazione è libera ma i lavori saranno molto impegnativi (ci saranno ben 17 diversi gruppi di lavoro) e verteranno sui veri problemi che incombono sui popoli, in particolare quelli del sud del mondo, e non su “finanza, mercati del carbonio, competitività di paesi ed aziende, opportunità d’affari” come è accaduto a Copenaghen secondo l’ambasciatore. I boliviani non scherzano, tanto che durante la conferenza sarà possibile partecipare a un referendum globale che potrebbe condurre miliardi di persone ad esprimere il proprio parere sulla questione climatica. Preparate la matita, pardon, il mouse.

E’ finita l’estate record in Western Australia

Bella grande e calda calda...

Hanno sfiorato i 30 gradi le temperature medie dell’ultimo trimestre in Australia Occidentale (29,6 per la precisione), superando di 0,2 gradi il record precedente, del 1997-98. Nella capitale Perth nello stesso trimestre non è caduta una goccia d’acqua (o meglio ne sono caduti 0,2 mm corrispondenti a un bicchiere per metro quadrato), mai così poco dal 1897, quando sono cominciate le registrazioni. Sono dati ufficiali ripresi dal sito Weather Online. La questione climatica in Australia, colpita da eccezionale siccità nell’ultimo decennio, ha provocato nel 2007 fa la caduta del governo di destra, il ritorno al potere dei laburisti e la ratifica del protocollo di Kyoto.

Da Flopenaghen, con rabbia…

Cara sirenetta, ci hai proprio deluso...

Il non-accordo

Lorenzo Fioramonti, 20 dicembre 2009

Come previsto, l’accordo di Copenaghen è stato un non-accordo, giusto per non perdere completamente la faccia. Abbiamo assistito all’ultimo atto di una conferenza deprimente, mal gestita e sorda alle richieste di milioni e milioni di cittadini in tutto il mondo. È un non-accordo perché non accontenta nessuno. Non risponde alle richieste degli stati insulari, che chiedevano tagli certi e rapidi alle emissioni. Non accontenta i paesi più poveri che volevano investimenti sicuri e regolari per l’adattamento ai cambiamenti climatici. Non accontenta i paesi europei che chiedevano tagli incisivi nei prossimi anni. Non risponde ai risultati della ricerca scientifica che individuava standard precisi di riduzione che non verranno mai rispettati. Si tratta di promesse, semplicemente parole. Così come le promesse sull’aumento dei fondi allo sviluppo (il famoso 0,7 del PIL), da sempre disattese. O quelle degli obiettivi del millennio, una pantomima ridicola di menefreghismo internazionale. Siamo nuovamente al punto di partenza. Non solo non si è deciso nulla, ma si è messo l’orologio avanti di un anno. Chissà se il 2010 porterà consiglio. C’è sicuramente poco da sperare, a meno che i cittadini non comincino a far sentire la propria voce. A partire da ora.

Flopenaghen, per evitarla servono 100 miliardi di euro

Money for climate, not for guns

Sono queste le dimensioni del cumquibus necessario per firmare a Copenaghen un nuovo patto tra nord e sud del mondo, per fronteggiare gli adattamenti necessari a sopportare nel sud le conseguenze del cambiamento climatico generato dal nord, per rendere più virtuoso il sistema obsoleto e inquinante di produzione energetica dei paesi emergenti, e anche per interrompere la deforestazione tropicale, che procede a ritmi galoppanti aggravando gli effetti climatici dei combustibili fossili. Se questi soldi saltassero fuori la conferenza di dicembre sarebbe un trionfo della diplomazia globale e potrebbe varare un nuovo patto per il clima, per rimpiazzare Kyoto dal 2013 in avanti. Purtroppo al momento i paesi ricchi questi soldi non li vogliono tirare fuori, e allora i paesi più poveri il patto sul clima non lo firmano. Ricordiamo che se ci troviamo in questa impasse ciò è dovuto anche alla crisi economica, che ha interrotto la crescita forsennata dell’economia globale (con un calo delle emissioni globali di gas serra, per la prima volta da decenni) e che ha deviato immensi fondi pubblici verso banche e case automobilistiche per salvarle dal fallimento (forse). E ricordiamo che nei decenni passati sono stati i paesi ricchi del mondo, tra cui l’Italia, a pompare in atmosfera tanta anidride carbonica da aumentarne la concentrazione dai 280 ppm preindustriali ai quasi 390 attuali ed innescare il cambiamento climatico. Diciamo anche però che in un solo anno lo stato italiano trasferisce alle regioni, per la sola sanità, più di cento miliardi di euro, cioè più della cifra del titolo. Possibile che tanti paesi ricchi non riescano a tirar fuori tutti insieme questi soldi, per salvare la salute del pianeta e la pelle di moltissimi nostri simili? La miopia che acceca pericolosamente i nostri governanti va curata, conoscete qualche valido oculista? Aggiungo che secondo la Fao, nel mondo si spendono ogni anno 1340 miliardi di dollari per le armi…