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La neve e il “global warming”

un effetto del caldo?

Se il pianeta si scalda, come mai tutta questa neve? Se lo domandano in tanti, chi con vera perplessità, chi con opportunistica malizia, pensando di mettere in crisi i climatologi. Ho personalmente trovato molto interessante a questo proposito un recente articolo di New Scientist (accessibile aimè solo agli abbonati) che mette direttamente in relazione il riscaldamento planetario e queste ondate di freddo intenso che si abbattono sull’emisfero nord da qualche inverno a questa parte. In poche parole si sostiene che con il riscaldamento progressivo dell’Artico (fenomeno documentato dalla rapida scomparsa o drastico assottigliamento della banchisa) il sistema di contenimento del freddo invernale intorno al polo nord, quello che i meteorologi chiamano fronte polare e che ha il suo bastione nella cosiddetta corrente a getto, si stia allentando, il che provoca la discesa di grosse bolle fredde verso sud. Il bello è che nonostante il freddo intenso sperimentato all’interno della “bolla fredda” il resto dell’emisfero (compreso il polo) appare anormalmente caldo, e che quando si fanno le medie delle temperature queste risultano comunque in aumento, nonostante il freddo locale. Questi fenomeni si stanno ripetendo da tre inverni, solo che le “bolle fredde” non cadono tutti gli anni nelle stesse zone, un paio d’anni fa colpirono gli Stati Uniti, l’anno scorso la Gran Bretagna e quest’anno si sono attestate sulla Russia europea e spinte fino all’Italia. Oltretutto siccome i mari sono sempre più caldi ne deriva una gran quantità di vapore in atmosfera, da cui nevicate anche copiosissime come abbiamo visto sulla dorsale adriatica da Rimini in giù (nella peraltro mite val Marecchia – foto – sono stati raggiunti i tre metri di spessore). Per chi volesse approfondire consiglio un articolo tecnico in inglese.

Vi fidereste di un falso medico?

a ognuno il suo mestiere

Per fare il medico ci vuole la laurea in medicina e anche l’iscrizione all’ordine, previo esame di stato. Per fare l’infermiere ci vuole un diploma specifico e un tirocinio in ospedale. Per fare il meteorologo la laurea che serve è quella in Fisica (o altre materie universitarie ad alto contenuto tecnico scientifico) per chi opera ad alto livello (ricercatore o meteorologo dirigente), per chi invece fa previsioni operative ci vuole un diploma tecnico superiore e una serie di corsi aggiuntivi specifici. Insomma, così come non vi fareste dare una medicina dal primo ciarlatano che passa per strada così non dovreste dar retta alle previsioni meteorologiche non ufficiali di cui pullula Internet (o il variegato mondo delle tv e radio private). Le previsioni ufficiali in Italia le danno nell’ordine, l’Aeronautica Militare, la Protezione civile nazionale e regionale, e i servizi meteorologici regionali (e delle province autonome di Trento e Bolzano). Queste strutture pubbliche cooperano per legge e si integrano tra loro. In questi posti si lavora rispettando le caratteristiche fissate per il curriculum di un meteorologo dall’Omm, organismo ufficiale internazionale dell’Onu. In questi posti si sfruttano i prodotti del Centro meteorologico europeo (ad accesso riservato ai servizi meteo ufficiali), e non i dati americani, utilizzati invece da moltissimi meteorologi improvvisati perché di libero accesso, ma non necessariamente in grado di descrivere bene la situazione meteo qui da noi in Europa/Italia. Se il paragone tra meteorologo e medico vi pare irrispettoso vi ricordo che si può morire per una previsione sbagliata così come per una medicina sbagliata e quindi è bene che la medicina la prescriva un vero medico e la previsione la produca un vero meteorologo. Punto.

Insegnare il cambiamento climatico

 

caro Charles, se tu sapessi...

Secondo il Guardian negli Stati Uniti il negazionismo è talmente forte da insidiare i professori che a scuola vogliono parlare di cambiamenti climatici, tanto che un’organizzazione attiva da trent’anni per sostenere gli insegnanti di scienze che vogliono parlare di evoluzionismo darwiniano ha deciso di correre al loro soccorso. Il National Center for Science Education, il cui motto è per l’appunto “Difendere l’insegnamento dell’evoluzionismo nelle scuole pubbliche”, dopo aver saputo da una specifica indagine che circa un quarto degli insegnanti che parlano di cambiamenti climatici dovuti alle attività umane viene messo in discussione da studenti, genitori e anche dalle autorità scolastiche, e che in molti stati si pretenderebbe l’insegnamento di teorie alternative del tutto prive di fondamento, ha deciso di impegnare la propria esperienza sulla difesa dell’evoluzionismo anche in campo climatico. In Italia invece il negazionismo non è ancora così forte, c’è però il grande peso dell’indifferenza, non tanto degli insegnanti o degli studenti, quanto delle autorità e dell’università, che sul cambiamento climatico in questo paese stanno facendo davvero troppo poco.

Europa e India in contrasto sul clima

...date retta alla gente, non agli inquinatori...

Sopraffatti dalle lacrime governative i giornalisti nostrani non trovano il tempo di occuparsi del futuro del trattato climatico globale, di cui migliaia di delegati discutono a Durban in Sudafrica alla conferenza COP17. Il Guardian ci informa invece che domenica a sorpresa è apparsa una “Durban roadmap” cioè un piano per sbloccare la trattativa. Si tratta di una proposta avanzata dall’Unione europea, accolta con interesse da molti stati ma contrastata fieramente dall’India, che prevede la proroga di Kyoto, e al contempo il varo di un trattato parallelo per il coinvolgimento graduale degli stati in via di sviluppo (come l’India appunto), che dai tempi del protocollo (1997) hanno fatto passi da gigante nell’economia (e nelle emissioni). Il contrasto dell’India trova fondamento sul mancato impegno di grossi emettitori come gli Usa, che al protocollo di Kyoto finora non si sono piegati. Teniamo gli occhi aperti sulla seconda settimana di trattativa, chissà che non ne esca qualcosa di buono.

Sabbie bituminose, stop dall’Europa?

Connie, pensaci tu!

Il petrolio è una faccenda piuttosto sporca, come avrete notato durante la crisi del Golfo del Messico, oppure dopo il naufragio della petroliera Prestige sulle coste della Galizia. Eppure c’è un modo di produrre petrolio  ancora più sporco del solito, quello che si pratica in Canada, dove ampie estensioni di foresta vengono disboscate per accedere alle sottostanti sabbie bituminose, che poi vengono “lavate” con enormi quantità di acqua per estrarne del greggio. Le devastazioni sono enormi, quasi inimmaginabili, l’inquinamento delle acque pure, e le emissioni di gas serra altissime. Gli Usa, sempre assetati di carburante, vorrebbero addirittura realizzare un oleodotto transcontinentale per dirigere questo petrolio canadese verso le raffinerie del Texas. In questo contesto si erge il dissenso dell’Unione europea, che si appresta a varare un divieto di importazione di questo greggio malefico sul nostro continente, grazie all’operato di Connie Hedegaard (foto), commissaria europea all’ambiente. La faccenda potrebbe avere ripercussioni anche sul tentativo di alcuni paesi di introdurre in Europa un ‘altra nefasta abitudine american, l’estrazione forzata di gas naturale dagli scisti sotterranei, ottenuta con getti di acqua o vapore ad alta pressione che frantumano il substrato roccioso (fracking). Negli Usa, dove il sottosuolo appartiene al privato che possiede il suolo, questa pratica sta causando estese contaminazioni di acque sotterranee. Qui in Europa il sottosuolo è pubblico quindi servono autorizzazioni che per il momento le ditte fanno molta fatica ad ottenere e conservare.

Protestano contro le sabbie bituminose e li arrestano

...erano tutti boschi...

Ben 1252 americani sono stati arrestati nei giorni scorsi durante un campagna di protesta organizzata da 350.org e altri gruppi di attivisti ambientali contro la realizzazione di un nuovo oleodotto che porterà negli Usa il petrolio estratto in maniera ambientalmente catastrofica dalle sabbie bituminose del Canada. Per estrarre il petrolio da queste particolari sabbie (che in inglese si chiamano tar sands) si usa moltissima energia, circa un terzo di quella contenuta nel greggio così prodotto (il petrolio tradizionale contiene 30 o 40 volte l’energia usata per produrlo). Ciononostante, dati gli alti prezzi del petrolio sul mercato mondiale, questo prodotto resta commerciabile con profitto e la domanda è tale che si prevede la realizzazione di un’apposita tubazione per trasferire verso le raffinerie del sud un milione di barili al giorno. La protesta contro Keystone XL (così si chiama il futuro oleodotto, lungo 2700 km) ha raccolto oltre 600mila firme (tra cui la mia, per quel che può contare) e si può ancora firmare sul sito di Avaaz. In sostanza, questo nuovo prodotto petrolifero devasta irreversibilmente il territorio dove viene estratto, usa enormi quantità di energia per l’estrazione e se non verrà vietato provocherà un aumento spropositato delle emissioni serra. L’approvazione dell’oleodotto darebbe un colpo finale alle sbandierate propensioni ambientaliste di Obama. E forse anche un colpo finale alla lotta contro il riscaldamento climatico globale. Altro che crisi delle borse…

Irene dalla finestra

con Irene non si scherza

Com’è grande il cielo e com’è piccola una donna, diceva una vecchia canzone di Francesco De Gregori dedicata a una certa sfortunata Irene. Parafrasando il nostro amato cantautore potremmo dire come è piccolo il cielo per la grande Irene, l’uragano poi declassato a tempesta tropicale che ha colpito prima i Caraibi poi quasi tutta la costa atlantica nord americana, allagato solo in parte New York e fatto “solo” 28 morti statunitensi (finora). Ora tocca al Vermont, il piccolo stato del New England, che sta subendo i peggiori allagamenti da 80 anni a questa parte. Naturalmente prima di colpire gli Stati Uniti Irene ha dato dei bei colpi in altri posti come Puerto Rico e Santo Domingo. Le preoccupazioni sono state esagerate? Guardando dalla finestra della tv e del web direi di no, la minaccia era seria ed è stato importante mettere in allarme la popolazione. Molto meglio così che non far nulla, ed è importante che le faccende meteorologiche siano trattate seriamente, perché temo che Irene sia solo un assaggio delle tempeste che verranno.

Meglio i trattori o le astronavi? meglio i trattori…

alle origini del vento

Se uno non legge niente pensa di sapere tutto, appena si mette a leggere qualcosa scopre di non sapere niente. A me è capitata l’ennesima conferma con il bel libro intitolato Wind Power, scritto di recente da un decano dell’energia eolica inglese, il prof. Peter Musgrove. Il testo è documentatissimo eppure di piacevole lettura e traccia la storia dell’energia eolica dalle origini medievali ai giorni nostri. Beh, ho scoperto che la più famosa azienda mondiale del settore, la danese Vestas, all’origine era una piccola fabbrica di macchinari agricoli e di gru mobili, con un centinaio di dipendenti. Verso la fine degli anni Settanta i proprietari acquistarono il brevetto di una turbina di nuova concezione realizzata artigianalmente da due ingegneri (Karl Erik Jorgensen, nella foto, e Henrik Stiesdal) e dal 1979 si misero a produrla in serie. Furono assai preveggenti perché di lì a poco esplose la domanda di turbine eoliche per il mercato californiano (favorita da agevolazioni introdotte negli Usa sulla spinta della crisi petrolifera del 1973). I governanti americani investirono somme colossali per lo sviluppo di un proprio settore eolico ma destinarono i fondi all’industria aerospaziale, e non certo a quella agricola, convinti che solo da lì sarebbero venute macchine potenti e innovative. Invece da quegli sforzi non scaturì niente di concreto, mentre prevalsero le sane e robuste macchine danesi, le cui gigantesche discendenti la fanno tutt’ora da padrone sui mercati europeo e globale dell’eolico. Mercati che continuano a crescere con ritmi da capogiro, con il prepotente ingresso sulla scena dei cinesi. Ma questa è un’altra storia.

Gli orsi affogano ma non bisogna dirlo

...dategli del ghiaccio...

Secondo quanto riferisce il Guardian lo scienziato americano Charles Monnett, che lavora in Alaska per l’agenzia che autorizza lo sfruttamento energetico degli oceani e che per primo ha mostrato il rischio per la sopravvivenza degli orsi bianchi derivante dallo scioglimento dei ghiacci polari, sarebbe stato sospeso dal suo incarico di ricerca, a causa di un’inchiesta sulla sua “integrità morale”. Secondo alcuni suoi colleghi Monnett sarebbe vittima di una persecuzione da parte dell’amministrazione Obama nel momento in cui la stessa si prepara a dare il via alle ricerche petrolifere nell’Artico, zona finora vietata per queste attività. Monnet fu il primo a ricollegare in un articolo scientifico del 2006 le prime osservazioni di orsi polari morti a galla nell’Artico con la progressiva scomparsa del ghiaccio, dovuta al riscaldamento delle regioni polari. Grazie a questo articolo l’orso bianco è diventato in qualche modo il simbolo vivente (o morente…) del riscaldamento climatico globale. Secondo una nota del movimento americano Peer (Public employees for environmental responsibility), che ha reso pubblico il caso, Monnett è oggetto di crescente persecuzione da quando l’articolo è stato pubblicato, fino al punto di essere allontanato dal suo istituto e virtualmente recluso in casa. Questo è niente in confronto a quel che è successo all’attivista ambientale americano Tim DeChristopher, che da martedì scorso è in prigione e dovrà starci per due anni solo perché fingendosi un petroliere ha disturbato un’asta pubblica sui diritti di estrazione petrolifera. Comincio a convincermi che il grande intellettuale Noam Chomsky non abbia tutti i torti quando definisce gli Usa tendenzialmente fascisti.

Dov’è andato il caldo?

...caldazz...

Se lo domandano tutti da qualche giorno, siamo in luglio e l’estate è già finita? Ma non ci dovevano essere estati sempre più torride? In effetti qui in Emilia-Romagna l’ondata di caldo ce l’abbiamo avuta eccome, con punte di 40 gradi e oltre in Romagna il 13 luglio scorso, poi il vento è cambiato e l’alta pressione si è spostata altrove. Le temperature registrate durante la breve ma intensa ondata di calore di inizio mese sono state allarmanti nella loro anomalia, livelli termici così alti nella nostra zona sono apparsi solo in anni recentissimi. In ogni caso esaminando la situazione globale il caldo non manca affatto, per esempio gli Stati Uniti del centro-sud  e della costa atlantica solo oggi cominciano a uscire da una morsa di calore eccezionale (record di oltre 42 °C registrato tre giorni fa a Newark, vicino a New York), che naturalmente ha fatto diversi morti. Tutte queste stranezze non dovrebbero più sorprendere, da molti anni ormai i climatologi ci assicurano che se non interrompiamo la tendenza ad inquinare l’aria con la nostra anidride carbonica non solo le temperature continueranno ad aumentare ma il tempo diventarà semprè più variabile e le vecchie regole stagionali saranno sempre meno attendibili. Tanto per tornare all’Emilia nei primi giorni di  aprile quest’anno si sono viste temperature decisamente estive, fino a 33 gradi! Dopodichè è iniziato un bimestre talmente secco che l’allarme siccità si è spento solo con le piogge di inizio giugno. Comunque l’estate non è finita, in particolare nel centro sud il caldo tornerà in agosto. E quindi buone vacanze.